Quando la tecnologia alimenta solitudine e alienazione
“La pratica psicologica non è solo elaborazione di dati, è relazione, alleanza, è stare nel dolore con l’altro e aiutarlo ad arrivare alla consapevolezza per vedere una strada alternativa al dolore, che in quel momento non si vede.”
Come oramai succede a tutti, sfoglio le notizie che il Web ha deciso che mi possono interessare e mi imbatto in una inquietante: “L’IA-psicologa non ti giudica”: intervista al creatore del “terapista” basato su ChatGPT che ha già assistito 10mila “pazienti”.
Già nel titolo qualcosa non quadra.
Il messaggio che passa è che lo Psicologo ti giudica, l’IA no.
Che dire, penso che per definizione stessa, lo Psicologo non possa essere giudicante, ma che in una lavoro maieutico, aiuti a tirar fuori il meglio di ognuno, senza mai giudicare, con l’unico obiettivo, il benessere.
E poi vediamo come si chiama: “ChatGPT, il tuo migliore psicologo“.
Quindi c’è una specifica comparazione tra il professionista e l’IA e vince l’ultima, perchè si dà per scontato che sia migliore.
Naturalmente nell’intervista si devono moderare i toni ed essere politicamente ed eticamente corretti e sostenere che l’IA non sostituisce il professionista, ma è solo un primo approccio.
Ma mi chiedo: “ Perchè dovrei andare da uno Psicologo in carne ed ossa se mi giudica e comunque è meno bravo (dato che il migliore è l’IA)?”.
La questione è a monte, perchè rischiamo di creare persone sempre più alienate e sole.
Il problema principale del nostro tempo è proprio l’Alienazione e la Solitudine.
Che dovremmo curare con uno strumento che simula una relazione terapeutica che manca di empatia, alleanza e risonanze.
E si, proprio le risonanze sono quelle che nessuna IA potrà riprodurre e che sono la base del lavoro che noi Psicologi facciamo.
Le Risonanze sono esperienze da noi vissute che vengono richiamate dalle storie dei pazienti e che attivano emozioni, che creano empatia.
Noi Psicologi lavoriamo con i nostri dolori, le nostre gioie e tutti i nostri vissuti e li mettiamo in campo implicitamente per creare quella alchimia potente che poi diventa l’alleanza terapeutica, senza la quale non si arriva al cambiamento.
Mi fa male pensare che questo lavoro che amo così tanto e che prende gran parte della mia vita, sia ridotto a dati che vengono elaborati per creare una domanda pertinente, per aiutare la persona ad arrivare alla conoscenza del suo malessere.
La pratica psicologica non è questo, è molto altro: è relazione, è alleanza, è stare nel dolore con l’altro e aiutarlo ad arrivare alla consapevolezza per vedere una strada alternativa al dolore, che in quel momento non si vede.
Io stessa utilizzo l’IA, ora anche in maniera massiva, per il riepilogo delle sedute, che serve a dedicare più tempo ai pazienti e alleggerire il mio lavoro di scrivere report continui. Ma tutto viene supervisionato, con aggiunte fondamentali che l’IA non è in grado di gestire.
L’IA, come tutte le altre frontiere tecnologiche che arriveranno, devono essere strumenti, ma non sostituti.
La relazione è quella che dobbiamo tutelare e che ci rende persone.
Una macchina non potrà mai farlo.